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“I paesaggi fiabeschi di Calvino” un saggio di Stefano Adami per l’inaugurazione dell’opera di Lidia Scalzo “Incontro con le fiabe”

Venerdì 16 settembre alle ore 19,30, nell’ambito della manifestazione “Architettura e Natura 2016 – IV Premio Simonetta Bastelli”,verrà inaugurata nel parco di Villa Faina a San Venanzo (Tr), l’opera “Incontro con le fiabe” dell’artista Lidia Scalzo. Quest’ultimo lavoro dell’artista è un chiaro omaggio allo straordinario lavoro di recupero, pubblicato nel 1956, delle fiabe italiane raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi 100 anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino.

Alla cerimonia sarà presente anche il prof. Stefano Adami, tra i massimi esperti delle vicende legate al grande scrittore ed alla sua famiglia.

Ed è proprio ai temi del paesaggio e delle fiabe che il prof. Adami ha voluto dedicare un suo breve saggio, scritto per l’occasione, che con molto piacere condividiamo.

Buona lettura e vi aspettiamo venerdì a San Venanzo!

I paesaggi fiabeschi di Calvino

L’ultimo romanzo di Italo Calvino vede tra i suoi protagonisti il paesaggio, i paesaggi. Esce all’inizio dell’estate del 1979: a poco più di un anno dall’assassinio di Aldo Moro. La quarta di copertina recita : ‘Nel nuovo romanzo di Italo Calvino il mondo d’oggi è al centro di un vortice di avventure tra la comicità e l’angoscia’.
Il libro si apre in una foresta di libri, dove le cataste dei volumi in attesa minacciano il lettore. Nelle prime pagine si svolge una battaglia dei libri, una battaglia di parole. Se una notte d’inverno un viaggiatore si rivelerà ben presto per essere un raffinato gioco di specchi, il riflesso labirintico del fuoco greco, un complicatissimo dedalo, il catalogo di ariosteschi astratti furori.
Eppure può sembrare anche un libro rassegnato. Scrive infatti Calvino : ‘Non che t’aspetti qualcosa in particolare da questo libro in particolare. Sei uno che per principio non s’aspetta più niente da niente. Ci sono tanti, più giovani di te o meno giovani, che vivono in attesa d’esperienze straordinarie; dai libri, dalle persone, dai viaggi, dagli avvenimenti, da quello che il domani tiene in serbo. Tu no. Tu sai che il meglio che ci si può aspettare è di evitare il peggio’.
Come il Lettore, adesso Calvino  vede ‘la società come collasso, come frana, come cancrena…e la letteratura sopravvive dispersa nelle crepe e nelle sconnessure, come coscienza che nessun crollo sarà tanto definitivo da escludere altri crolli’.
Tutte le sua aspettative del protagonista sono dunque infatti  ‘in un settore ben circoscritto come quello dei libri, dove può andarti male o andarti bene, ma il rischio della delusione non è grave’.
Ed ecco perché nel primo capitolo del romanzo la parodia dell’atto della lettura fatta da Calvino entra in tutti gli interstizi della vita quotidiana del lettore, in ogni momento, diventando – come abbiamo detto – un vero e proprio delirio della lettura. Calvino vede il lettore mentre grida : ‘Sto cominciando a leggere l’ultimo romanzo di Italo Calvino!’, affinché non sia disturbato in alcun modo.
Poi lo coglie mentre cerca affannosamente e disperatamente la miglior posizione per la lettura, con la stessa impaziente e disperata ossessione dell’insonne che non trova la giusta posizione per riaddormentarsi, e si rivolge nel suo letto: ‘Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull’amaca, se hai un’amaca. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto. Puoi anche metterti a testa in giù, in posizione yoga. Col libro capovolto, si capisce’. Tutto inutile, naturalmente. Commenta l’autore: ‘Certo, la posizione ideale per leggere non si riesce a trovarla’.
Ma l’ossessione del lettore non ha limiti: ‘Sei al volante della tua macchina, fermo a un semaforo, tiri fuori il libro dal sacchetto…ti metti a leggere le prime righe. Ti piove addosso una tempesta di strombettii; c’è il verde; stai ostruendo il traffico’. E ancora: ‘Sei al tuo tavolo di lavoro, tieni il libro posato come per caso tra le carte d’ufficio, a un certo momento sposti un dossier e ti trovi il libro sotto gli occhi, lo apri con aria distratta, appoggi i gomiti sul tavolo, appoggi le tempie alle mani piegate a pugno, sembra che tu sia concentrato nell’esame di una pratica e invece stai esplorando le prime pagine del romanzo’. Il delirio della lettura diviene così una costellazione di sintomatologie psichiatriche. Ma ecco, le prime pagine del romanzo si avvicinano, finalmente. Come saranno? Si verificherà la meraviglia tanto attesa? Ci sarà il dono, il riscatto, la salvazione? Sarà finalmente redento il Lettore? Giungerà a Itaca?
In realtà le prime pagine del romanzo che – come Calvino ci narra – il lettore si accinge ansiosamente a leggere, cominciano alla fine del primo capitolo. Con una sensazione che il lettore prova, una sensazione vaga e sottile, ma assai precisa . Una sensazione di mistero, una sensazione di suspence, da romanzo giallo. ‘Ti prepari a riconoscere l’inconfondibile accento dell’autore. No. Non lo riconosci affatto. Ma, a pensarci bene, chi ha mai detto che questo autore ha un accento inconfondibile? Anzi, si sa che è un autore che cambia molto da libro a libro. E proprio in questi cambiamenti si riconosce che è lui’. Il diverso, l’identico, che si uniscono e si dividono. Chi è l’autore che si affaccia dalle pagine del libro?
Ma ecco : ‘il romanzo comincia in una stazione ferroviaria, sbuffa una locomotiva, uno sfiatare di stantuffo copre l’apertura del capitolo, una nuvola di fumo nasconde parte del primo capoverso’. È un’avventura di carta e l’autore lo dichiara subito con chiarezza. Il lettore si trova catapultato in una oscura, vaga e sporca stazione ferroviaria di provincia dove un oscuro protagonista – l’uomo che dice ‘io’ – è in ansiosa attesa. Passa il suo tempo fra il bar e la cabina telefonica, dove chiama ‘un telefono che suona in una stanza buia d’una città lontana’. Il protagonista non sa bene quali siano le intenzione dell’autore su di lui, e qui, in queste pagine, il serrato dialogo nascosto è quindi tra il protagonista, il lettore e l’autore. Il Lettore pensa tra se e se, insieme con il protagonista, l’uomo che attende alla stazione dei treni (o meglio, è proprio l’uomo che attende alla stazione che rivolge direttamente la parola al lettore): ‘E’ già da un paio di pagine che stai andando avanti a leggere e sarebbe ora che ti si dicesse chiaramente se questa a cui io sono sceso da un treno in ritardo è una stazione d’una volta o una stazione d’adesso; invece le frasi continuano a muoversi nell’indeterminato, nel grigio, in una specie di terra di nessuno dell’esperienza ridotta al minimo comune denominatore…l’autore è ancora indeciso, come d’altronde anche tu lettore non sei ben sicuro di cosa ti farebbe più piacere leggere…’. Lettore, cosa t’aspetti e desideri da questa storia? L’invito al lettore a partecipare alla narrazione è esplicito: Cantami, o lettore…
Persino il protagonista non sa più cosa stia facendo alla stazione dei treni e perché sia li. Scopre d’un tratto di avere con se una valigia. Di che si tratta? Cosa contiene? Perché la porta con se? Procede per tentativi, inferenze : ‘Qualcosa mi dev’essere andata per storto: un disguido, un ritardo, una coincidenza perduta; forse…’. Esattamente come un Lettore all’inizio di un romanzo – o, tanto per fare un altro esempio, come Fabrizio del Dongo alla battaglia di Waterloo – è smarrito e confuso, e non ha la più pallida idea di cosa stia succedendo, di cosa lo agisca. Eppure sa qualcosa di se, qualcosa d’importante, qualcosa di fondamentale: ‘ogni momento della mia vita porta con sé un’accumulazione di fatti nuovi ed ognuno…porta con sé le sue conseguenze, cosicché più cerco di tornare al momento zero da cui sono partito più me ne allontano…cancellare avvenimenti precedenti provoca una pioggia di nuovi avvenimenti che complicano la situazione…Devo…ottenere il massimo di cancellazione col minimo di ricomplicazione’.
Finalmente il protagonista individua qualcuno nella stazione dei treni: persone che discutono di politica e degli atti dell’amministrazione comunale, che fanno scommesse, e poi il dottor Marne, e poi la ex signora Marne, e poi il commissario, che si chiama Gorin, e poi giunge la notizia improvvisa che hanno ammazzato Jan e che il protagonista deve perciò fuggire. Il lettore registra i nomi dei personaggi e ipotizza da quelli dove si svolga il romanzo. Si svolge in Inghilterra? In Italia? In quale altro paese? Ma intanto il primo capitolo si chiude. E – nota subito il lettore – il secondo si apre, guarda, con le stesse frasi. Niente panico, si dice astutamente e con sicurezza il compiaciuto e ‘accorto’ lettore, che conosce bene il dibattito contemporaneo sulla forma-romanzo e sulla struttura della narrazione : ‘E’ chiaro: sono motivi che ritornano, il testo è intessuto di questi andirivieni, che servono a esprimere il fluttuare del tempo’. E invece no, scopre ben presto il lettore con ira, non sono virtuosismi letterari moderni, ma vere e proprie malefatte della casa editrice. E la furia del lettore delirante si abbatte sul libro, in un crescente parossismo patologico: ‘Scagli il libro contro il pavimento…vorresti gettarlo fuori della casa, fuori dell’isolato, fuori del quartiere…fuori della cultura occidentale…a perdersi nella negatività più assoluta garantita innegabile’.
Ma dov’è il tanto atteso ultimo romanzo di Italo Calvino?
Non si può eliminare il libro, il lettore lo scopre ben presto, ma riportarlo al libraio per farselo cambiare. La cosa, gli spiega il libraio, è comune, la casa editrice ha fatto molti errori con questo libro. Di fatto ha scambiato il romanzo di Calvino con Fuori dell’abitato di Malbork del polacco Tazio Bazakbal. Cose che succedono ogni giorno, nell’industria della produzione libraria. Ecco il Calvino, dice il libraio. Ma il lettore non è convinto : ‘ho cominciato il polacco e il polacco voglio continuare’. E viene accontentato. E d’improvviso appare sulla scena Lei, la Lettrice.
Il dialogo d’approccio che qui il lettore imbastisce è memorabile, sconnesso, privo di logica alcuna. E l’autore glielo fa notare subito, deluso: ‘Mah, forse potevi coordinare un po’ meglio, comunque i concetti principali li hai espressi. Adesso tocca a lei’. Finalmente – sostenuto dal delicato plauso dell’autore che lo guarda amorevolmente – il lettore riesce a chiedere alla lettrice il suo numero di telefono. Ed esce dalla libreria contento: credeva finita l’epoca in cui ci si può aspettare qualcosa dalla vita, e invece, ecco, ha sottobraccio un libro il cui inizio lo ha interessato e, soprattutto, il numero telefonico dell’avvenente lettrice, che lo interessa ancor di più. Ed ecco che il libro ha compiuto davvero il miracolo: ha cambiato il lettore in interiore homine. Ieri, o lettore, ‘sostenevi di preferire un libro…in confronto dell’esperienza vissuta’. Oggi pensi alla lettrice e speri nel ‘seguito della tua storia con lei’. All’uscita dalle libreria, il Lettore si abbandona al fantasticare: leggere un libro con una Lettrice, sentirlo e commentarlo con Lei: ripetendo gli sguardi, i gesti, le emozioni, le intermittenze del cuore di Paolo e Francesca. Gran bontà dei lettori moderni!
Ma affrettiamoci, il romanzo polacco comincia (o ricomincia) , ‘un odore di fritto aleggia ad apertura di pagina’. Parole straniere, probabilmente polacche, ci colpiscono dai primi capoversi, gettandoci nell’estraneazione, nel ‘senso della perdita, la vertigine della dissoluzione’. Anche qui una ragazza, una ragazza in un ritratto, e un nome: Zwida Ozkart. Chi è?
E poi un dialogo, in cui si parla di due giovani trovati morti di morte violenta, di una faida tra due famiglie. Ma ecco, anche qui il capitolo finisce subito. Il lettore continua a tagliare le pagine intonse del libro con il tagliacarte: e scopre che le pagine che libera via via dalla morsa sono bianche d’un bianco crudele e indecente. Si precipita a telefonare alla lettrice, Ludmilla, per cercare conforto di fronte al vuoto. Ma trova la sorella Lotaria. Che subito si presenta per una ideologa della letteratura, una anatomo-patologa del libro e della lettura, l’esatto opposto della sorella che – dice con disprezzo e superiorità – ‘legge un romanzo dietro l’altro ma non mette mai in evidenza i problemi’. Il lettore ne è subito stanco; la ‘problematizzazione’ lo sfibra.
E si ritrova chissà come all’Università, a parlare di letteratura cimmeria con il professor Uzzi-Tuzii. Perché il romanzo polacco non era, in realtà, polacco ma cimmerio. E il professore riconosce il libro, riconosce i protagonisti. Certo! È Sporgendosi dalla costa scoscesa di Ukko Ahti. Il professore prende il libro da uno scaffale della sua biblioteca e comincia a tradurre all’impronta la storia. Che ovviamente non somiglia alla precedente, perché è – il lettore se ne rende subito conto – il romanzo in forma di diario d’un io ipertrofico oscuramente convinto che  ‘il mondo vuole mandarmi messaggi’, che ‘la fine del mondo si approssima’. Un romanzo in cui ‘tutti i verbi sono al frequentativo’. Il libro di un io che riflette continuamente su di se e sulle proprie esperienze e convinzioni, per venire a convincersi ‘che la perfezione non si produce che accessoriamente e per caso…la vera natura delle cose rivelandosi nello sfacelo’. Un io che vive ‘come una colpa’. Ma ecco, ad uno strano incontro il libro s’interrompe. Qui l’autore scivolò in una profonda crisi depressiva – spiega l’accademico – e morì suicida. Non si giungerà mai alla fine della storia.
Ma non è così. Il libro non è irraggiungibile, poiché – come spiega in toni aggressivi la sorella della lettrice  – in realtà Sporgendosi dalla costa scoscesa è un altro libro, il romanzo cimbro Senza temere il vento e la  vertigine. Che sta per essere finalmente letto in un seminario di controcultura all’università. E che si rivela essere un romanzo di guerra e d’occupazione, in una ‘città attraversata da carriaggi militari’. Un romanzo politico, un romanzo sulla rivoluzione. Il lettore e la lettrice si guardano smarriti. Possibile?
Ma d’un tratto la pubblica lettura finisce e si apre l’analisi del testo, che viene sviscerato secondo le più avanzate e raffinate categorie critiche. I due lettori se ne vanno disgustati, e il lettore decide di andare alla casa editrice per interrogarne un funzionario, lo stanco e logorato dottor Cavedagna, e scoprire cos’è successo al libro che sta cercando. La spiegazione che Cavedagna fornisce è molto complicata e fumosa, ma alla fine il lettore esce dal colloquio con le fotocopie di un libro sottobraccio, che dovrebbe essere una traccia. Guarda in basso dove l’ombra s’addensa, il nuovo libro, sembra  un giallo, violento, duro. Il personaggio che dice io sembra un duro alla Philip Marlowe, e ha persino un coinvolgente rapporto sessuale. Un poco dopo l’atto carnale le fotocopie s’interrompono. Vada dal traduttore, Marana, suggerisce il dottor Cavedagna. O meglio – continua, frugando nei traboccanti archivi della casa editrice e sopra il suo tavolo, e porgendo poi al lettore una cartellina – legga il suo dossier.
Il lettore apre dunque il dossier intitolato ‘Ermes Marana’. E scopre un uomo sulle tracce del ‘Padre dei Racconti’ e del narrare originario. Un uomo che parla di oscure organizzazioni segrete ed oscuri complotti. Un adepto di manicheismi e gnosticismi di varia natura, un ‘dietrologo’ (come si usa dire oggi), un seguace di strane teorie del complotto e produttore di segni e complotti egli stesso. Che parla di luoghi incredibili e dello scrittore Silas Flannery. Un folle?
Non lo sa, il lettore, chi sia veramente Marana. Ma intanto si fa dare il libro da lui spedito alla casa editrice , In una rete di linee che si allacciano. Che è un romanzo che non vuol cominciare, che si disseziona, che parla di se e riflette su di se. Che sembra ambientato negli Stati Uniti. E che finisce d’improvviso, anche questo.
E alla ricerca della continuazione del libro il lettore capita a casa della lettrice, incontra alcuni suoi curiosi amici, come il giovane Irnerio, e si ritrova a fare l’amore con lei: dove la lettrice adesso ‘è letta’. E alla fine dell’atto il lettore si mette a leggere un libro della lettrice, In una rete di linee che s’intersecano. Un romanzo filosofico , che si apre parlando borgesianamente di specchi e di Plotino. A cui segue il diario di Silas Flannery, uno scrittore in crisi, che discute con preoccupazione progetti narrativi e ricopia l’inizio di Delitto e Castigo, ‘per vedere se la carica d’energia si comunica alla mia mano’. Ha scritto Belpoliti : ‘Flannery, scrittore in crisi, è geloso della Lettrice che vede seduta a leggere mentre lui si arrovella per estrarre da se stesso poche pagine… Flannery, controfigura di Calvino, è un uomo roso dalla gelosia, e prima ancora che degli altri scrittori e lettori è geloso di se stesso, del se stesso che è stato’.
E poi nel diario di Flannery compare Lotaria, la sorella della lettrice, e la sua cieca anatomia della letteratura, che terrorizza lo scrittore. Ma nel diario di Flannery compare anche il lettore stesso: e lo scrittore gli consiglia di leggere il romanzo giapponese Sul tappeto di foglie illuminate dalla luna. Romanzo che, ecco, ora leggiamo e che si apre sulle ‘foglie di gingko’ che ‘punteggiavano di giallo il prato’.
Il lettore scende da un aereo, sulla via della ricerca del libro, e viene subito arrestato. Come l’antico cavaliere, è in pellegrinaggio alla ricerca del Graal, e il suo Graal è – naturalmente – l’ultimo romanzo di Italo Calvino. O, semplicemente, la storia. Finora, la lettura ultima è stata continuamente rimandata, frustrata, interrotta. La narrazione sembra impossibile.
Ma ora dove si trova il lettore? In un paese sudamericano governato da una dittatura, pare, ed è stato arrestato perché in possesso di un libro. E adesso? Riesce a fuggire grazie ad una donna, e si ritrova in mezzo alla resistenza. Che fare? Intanto, il lettore consuma un altro atto carnale con una giovane e bella combattente. Poi riprende la lettura. Il libro che gli capita tra le mani stavolta s’intitola Intorno a una fossa vuota. Un romanzo che pare sudamericano, e che pare parlare di un duello. Sul quale finisce. E alla fine del nuovo libro il lettore si trova a prendere un caffè con Arkadian Porphyritch, ‘una delle persone intellettualmente più fini dell’Ircania…che ti è stato ordinato di contattare…nella missione che t’hanno affidato..’. Ma quale missione?
Dopo l’incontro, il lettore si ritrova ad attraversare l’Ircania in treno, alla ricerca di un libro la cui lettura le autorità vogliono impedire: Quale storia laggiù attende la fine?, di Anatoly Anatolin. Libro che si apre con una passeggiata sulla grande ‘Prospettiva della nostra città’. Che parla del vagheggiato incontro con una donna, Franziska. E che nell’incontro con lei improvvisamente si conclude.
Un libro il cui – come abbiamo visto – Protagonista assoluto è il Libro e l’Atto di leggere non può che concludersi in una biblioteca, in mezzo a libri e lettori. Le complesse architetture narrative che Calvino costruisce e affina in questo libro sono sostanzialmente ancora quelle de Il Castello dei destini incrociati e Le città invisibili: dove a volumi e moduli ‘connettivi’ e ‘riflessivi’ si alternano moduli ‘nodali’ in cui l’azione si concentra e si sviluppa. Ma l’esperienza del soggetto nell’ultimo romanzo di Calvino – il Lettore – è, lo abbiamo visto, un’esperienza esplosa e frammentata, condannata alla rifrazione infinita. I sentieri del Lettore sono sempre interrotti, e l’immagine di se che il Lettore cerca nella lettura, nel Libro, è sfuggente, polverizzata, molteplice, priva di identità delineata. L’accumulazione delle letture, dei vari capitoli ‘prefabbricati’ assemblati dal Lettore nel corso della ricerca, sembra alla fine non produrre senso alcuno, non essere ‘capitalizzabile’. La realtà sembra essere l’inseguimento di un testo, di una narrazione, di una finzione.
Il Lettore ‘modulare’ si reca dunque in biblioteca – o meglio, vi si rifugia – per trovarvi la propria sintesi possibile, la propria possibile verità, la propria sensazione di verità. Il cuore della questione l’aveva esposto chiaramente la Lettrice stessa, in una importante conversazione ‘barthesiana’ sul piacere del testo, che si svolge più o meno a metà del libro. Confessa infatti la lettrice al lettore : ‘Il romanzo che più vorrei leggere in questo momento…dovrebbe avere come forza motrice solo la voglia di raccontare, d’accumulare storie su storie, senza pretendere d’importi la propria visione del mondo, ma solo di farti assistere alla propria crescita, come una pianta, un aggrovigliarsi come di rami e di foglie…’. Un profondo desiderio, un mito di età dell’oro della lettura, da cui il lettore è immediatamente catturato: ‘In questo ti trovi subito d’accordo con lei: lasciandoti alle spalle le pagine lacerate dalle analisi intellettuali, sogni di ritrovare una condizione di lettura naturale, innocente, primitiva…’.
E’ un desiderio di pace, di naturalezza e di semplicità, di sospensione delle ideologizzazioni, delle guerre critiche ed intellettuali, che il lettore e Calvino condividono con il Parise dei Sillabari, che ‘un giorno, sul finire degli anni ’60, vide nella piazza sotto casa un bambino con un sillabario in mano. Gli si avvicina e legge ‘l’erba è verde’…e quella pagina limpida e colorata acquista il significato di un monito, un richiamo all’essenzialità della vita e della poesia..’.
E sembra essere finalmente così: nella biblioteca in cui alla fine dell’avventura il lettore si reca, egli scopre che, inaspettatamente e felicemente, essa contiene proprio tutti i romanzi di cui ha via via letto il primo capitolo. Compila la scheda per ritirarli, e d’improvviso si accorge che i titoli giustapposti formano a loro volta un ennesimo testo, un testo in apparenza enigmatico e misterioso.
Enigmatico? Misterioso? In realtà, dice  con molta semplicità un lettore nella biblioteca, leggendo il testo formato dai titoli, ‘il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, l’inevitabilità della morte’. Ogni libro è dunque Assoluto, è Il Libro.
Anche il libro che stiamo leggendo, l’ultimo romanzo di Italo Calvino, dunque, parla dell’Assoluto. Eppure è un romanzo che raccoglie la summa delle esperienze umane di un singolo, l’autore, appunto, in un confuso tumulto di sensazioni e immagini: il clima della Resistenza e del dopo Resistenza in Italia, il senso di rigenerazione e rinascita, l’entusiasmo del mondo nuovo, il tentativo di dare la scalata al cielo, il sogno di una cosa, il cantacronache, l’amaro senso di fallimento politico e sociale della seconda metà degli anni ’50, l’Ungheria e Praga, l’esperienza di funzionario editoriale e traduttore alla Einaudi, le diverse perdite di fiducia, la fine del ‘piacere del testo’, la contestazione giovanile degli anni ’60 e il suo ideologizzarsi e radicalizzarsi, la retorica delle lotte universitarie, l’ideologia e ipertrofia critica degli anni ’60 e ’70 (quelle che Harold Bloom chiama le ‘scuole del risentimento’), la passione e il riflusso, l’Oulipo, la violenza politica, l’opera lirica, l’ossessiva violenza degli anni ’70, Marcovaldo e Palomar, la letteratura di massa, la corsa delle giraffe, la scuola dello sguardo, il tentativo di vedere e descrivere il mondo da una prospettiva oltreumana (cosmicomica, o d’altro), l’irrompere sulla scena delle letterature slave, sudamericane, orientali…
Ma – chiede il lettore – come finisce la storia? Con uno sguardo su un paesaggio: le linee che corrono parallele, che si intersecano… I due lettori, ovviamente, si sposano. E vivranno…Felici? Contenti?
Stefano Adami, settembre 2016